d’annunzio e gli animali 239 lepri elettriche, motivo di sovrano disprezzo da parte di d’Annunzio che di questo genere di corse incruente non vuol nemmeno sentir parlare, e che le qualifica: « ignobili parodie del vero “coursing” ». All’epoca delle corse di Saint-Cloud egli tanto si appassionò a quello sport, che decise di scrivere un libro che doveva avere per titolo: « Vite di cani illustri »; e lasciò supporre imminente la consegna del manoscritto al suo editore parigino Gaston Calmann Lévy. Questo volume dedicato alla gloria dei cani fu anche meno fortunato del confratello che lo aveva preceduto di qualche anno: « Vite di uomini illustri ed oscuri » e che cominciò e fini con l’ammirevole « Vita di Gola di Rienzo », che io stesso ebbi (in qualità di editore di d’Annunzio) l’onore di pubblicare. Le « Vite di cani illustri » erano destinate invece a rimanere completamente allo stato di progetto, malgrado avessero dato luogo, non appena annunciate, ad un episodio imprevisto quanto comico. Non appena ne fu noto il titolo, una folla di signori attempati e di oneste e venerabili signore, proprietari di una pleiade di ridicoli bassotti, di barboni ornati di nastri color rosa, di « levrettes » munite di impermeabile e tasca per il fazzoletto, si affrettarono ad inviare lunghissime epistole a d’Annunzio enumerando con orgoglio le qualità eccezionali d’intelligenza e di devozione di tutti i loro Totò, Poupette, Bibi, Azor, Mimi, Ketty, ecc., ritenendo in perfetta buona fede di fornire in tal modo, all’autore del libro futuro, documenti del più alto interesse. Per arrestare le ondate di sensibilità di tutti questi papà e mamme di cani, d’Annunzio m’incaricò di scrivere la seguente lettera al « Gii Blas », quotidiano di Parigi: «Sono autorizzato a dichiarare che le “Vite dei cani illustri'” non saranno affatto ma serie di biografie canine, come potrebbe lasciar supporre il bell’ articolo apparso nel “Temps” a firma di Giorgio Docquois.