D’ANNUNZIO « BUSINESS MAN )) 649 La frase, talvolta riferita da altri, talvolta anche detta direttamente a d’Annunzio, gli procurò sempre un gran piacere, ed egli non mancò di ripeterla ogni volta che ne ha avuto l’occasione. Vediamo quanto vi sia di vero in questa affermazione, che tanto tornava gradita alle orecchie di d’Annunzio appunto e principalmente perché l’occuparsi d’affari non entrava nel quadro delle sue abituali occupazioni e vediamo ora se, a quella reale qualità di non lasciarsi infinocchiare, corrispondeva la facoltà che avrebbe completato l’autentico uomo d’affari, cioè quella di sapere infinocchiare gli altri. D’Annunzio nella vita reale è un furbo. Non si può essere più poeti di lui e, nello stesso tempo, meno poeti. La parola « poeta » intesa come negazione di tutto ciò che rappresenta concezione pratica dell’esistenza, non calza per il nostro eroe, poiché d’Annunzio, non appena depone la penna o comunque smette di pensare ad una sua creazione artistica, riacquista per cosi dire tutta la lucidità necessaria per la valutazione esatta di ciò che, materialmente, può tornare a suo vantaggio o può volgersi a suo danno. Melpomene, Calliope e Polimnia gli stanno accanto solamente durante le sue ore di lavoro ed hanno il buon senso e lo spirito di andarsene a fare una passeggiata in giardino, quando il loro beniamino è costretto ad occuparsid’in-teressi materiali. L’uomo d’affari, anche se è espertissimo e rotto a tutte le astuzie ed i raggiri della sua professione, dal momento in cui giunge al cospetto del Poeta è sempre fatalmente «handicappato ». Gabriele d’Annunzio, per l’uomo d’affari, rappresenta un avversario sconosciuto, un animale nuovo, invulnerabile, un essere col quale bisogna trattare in modo specialissimo, al quale tutto è lecito, tutto è concesso e perdonato in anticipo. La ragione è facile a comprendere: d’Annunzio tratta e vende una merce insostituibile ed inimitabile; e