l’esilio 287 sotto il nome generico di « japonais«'ies », ed ai quali egli aveva anche consacrato vari articoli delle sue cronache mondane. La collezione dei Budda, iniziata modestissimamente con un minuscolo dio di avorio, divenne in breve tempo cosi numerosa da invadere tutto l’appartamento. Era raro che d’Annunzio uscisse di casa e non tornasse portando un nuovo Budda, se piccolo, o seguito a distanza da un « garçon livreur » se si trattava di simulacri voluminosi. La sua avidità di compere era divenuta tale, che, non sapendo come trovarvi una scusante, data la situazione finanziaria familiare, egli arrivò perfino a dar ad intendere ai domestici che comperava dei Budda a scopo di lucro, avendo letto in un antico testo indiano che nei Budda stessi v’erano talvolta dei veri depositi di pietre preziose; e, per rendere più accettabile questa sua frottola, quando s’accorgeva d’essere osservato, batteva coscienziosamente la pancia del Budda appena acquistato, con un martelletto, avvicinandovi l’orecchio come per sentire se l’interno risuonasse. Col suo soggiorno in Francia si può dire che si chiuda per d’Annunzio l’ora caratterizzata da quello spirito giovanile, o meglio da quella concezione fanciullesca della vita, che lo aveva sempre accompagnato nella buona e nella cattiva sorte fino ai cinquant’anni. Egli conserverà poi sempre il suo carattere proclive ad una interpretazione ottimistica e gioconda degli avvenimenti, ma cesserà di divertirsi di una quantità di cose quasi puerili che fecero per tanto tempo la sua gioia. Lo stesso suo umorismo si velerà d’un’ironia che prima gli fu ignota.