LE DIMORE DEL POETA 193 tra di queste azioni. Egli si è sempre limitato ad arredare e a decorare, a modo suo, case esistenti e già arredate, da lui prese in affitto (arredamenti e decorazioni che gli sono sempre venuti a costare il triplo almeno del valore del fabbricato), e ad abbandonare poi tranquillamente, dopo un anno, o due, o tre, o dieci, a seconda dei casi, tutto quel po’ po’ di roba messavi dentro, come si abbandonerebbe un gatto in mezzo ad una strada, quando per ragioni finanziarie o morali non si sentiva più di rimanere. Cosi e non altrimenti va inteso il suo creare e cosi il suo distruggere. « E chi mi ama » scrisse un giorno « sappia che di ogni mia dimora distrutta io ho sempre potuto serbare la pietra che porta inciso l'enigma della mia libertà: “Chi il tenerà legato? ”... » E il giorno in cui il Municipio di Pescara, animato da lodevoli sentimenti verso il figlio celeberrimo ed esule, gli offerse in dono, nel 1913, una villa nella pineta, egli rispose bruscamente per telegramma: «Non voglio doni temporali, né spirituali. Basto a me stesso, e vivo dove mi piace, nelle case che mi scelgo ». Fra le numerosissime dimore di d’Annunzio, che fu nella sua vita un nòmade (quale, però, può essere la lumaca, che '•i sposta poco e lentamente), bisogna distinguere le vere e proprie case da quelle assai meno note e meno interessanti che egli abitò durante specialissimi periodi della sua vita, e che non costituirono per lui se non semplici punti d’ap-poggio momentanei. Le prime, glorificate ormai dalla storia, e infiorate dalla leggenda, si riducono a quattro. Sono: la famosa « Cap-poncina », situata sui colli fiorentini; lo « Chalet Saint-Do-minique » ad Arcachon, nelle Lande francesi; la « Casetta Rossa », a Venezia sul Canal Grande, e finalmente il « Vettoriale » sul Lago di Garda. Fra le seconde abbiamo: l’appartamento del Palazzo