LE DIMORE DEL POETA 201 modità moderne, elevando intere ali di fabbricati nuovi, costruendo scuderie, canili e piccionaie ed arricchendo il giardino di statue, di fiori e di cancelli preziosi. E, quando ebbe oltrepassato un milione di lire di debiti, che a quei tempi equivaleva almeno a cinque milioni d’oggi, e nessuno volle più fargli credito, la tempesta scoppiò. Inutilmente egli cercò di placare, con acconti e con promesse, la muta degli usurai, più affamata di quella dei suoi levrieri. Inutilmente scrisse ad altissime personalità chiedendo un soccorso momentaneo o almeno la concessione d’una proroga di pagamento, che certo gli avrebbe permesso di salvare l’ormai storica dimora. L’Italia intera rimase indifferente al suo appello, muta spettatrice di quello scempio, e i « cari confratelli » sparsi nei centomila caffè della Penisola si fregarono le mani con gioia mal contenuta, inneggiando in cuor loro al definitivo crollo dell’ingombrante concorrente. Allora, « di guerra lasso », il Poeta abbandonò l’inferno fiorentino, come Orfeo aveva abbandonato il Regno delle Ombre, lasciandovi solo, a guardia morale, un suo fido amico, l’avvocato Coselschi di Firenze, perché tentasse almeno di arginare la totale rovina. Ma fu tutto vano. Il 24 aprile del 1910, la Capponcina andò all’asta fra i sorrisi degli antiquari e dei prestatori di denaro che riebbero il loro danaro al trecento per cento, e l’indifferenza di qualche spettatore. » Fra questi v’era un tedesco, amante dell’Italia e ammiratore del Poeta. Lo straniero ricomperò la maschera di Wagner, e, qualche tempo dopo la vendita, la inviò in omaggio al Poeta... Fu questo il solo gesto gentile, nell’obbrobrioso episodio!