642 VITA SEGRETA DI GABRIELE D’ANNUNZIO si accontentò di rispondermi: «veramente?» con una intonazione leggermente stupita ed una impercettibile smorfia da fanciullo malcontento. Nondimeno, non appena fummo entrati nel piccolo salotto, si diresse verso la grande vetrata che dava sulla terrazza e spalancò le imposte. « Eravamo ai primi d’aprile. Innumerevoli grappoli di glicine correvano lungo la balconata che chiudeva la breve terrazza e la coprivano tutta d’un impenetrabile pergolato che lasciava filtrare soltanto una diffusa luce violetta, adorabilmente irreale. « All’esterno, la grande pace della primavera fiorentina non era interrotta se non dal tubare dei colombi della vicina colombaia e dal frullio delle loro ali... « Davanti alla finestra, su di un piccolo tavolo di palissandro, era posato un grande vassoio in argento. Sul vassoio, un “samovar”, due tazze, diverse minuscole bottiglie di cristallo contenenti liquori e, su vari piattini d’argento, molti cioccolattini. « D’Annunzio dopo avermi chiesto se gradivo del tè, ed avendogli io risposto che era la mia bevanda favorita, si accinse a prepararla. « Lo faceva con grazia, abilmente, con brevi gesti femminili, lanciandomi ogni tanto qualche occhiata che con una certa dose di buona volontà avrebbe potuto essere considerata come timida. « Fu solo in quell’istante, potrei giurarlo, che mi accorsi che il mio ospite non era vestito come tutti. « Indossava una specie di chimono azzurro-cupo orlato di nero, dalla forma di una tonaca da monaco. Le braccia erano interamente nude sino al gomito. Il collo anche era nudo. « Quella specie di tunica non gli stava affatto male; la portava anzi con molta disinvoltura. « La scoperta, per dire il vero, non mi turbò affatto, tanto più che, avendogli chiesto la ragione di quel singolare abbigliamento, mi rispose prontamente che in casa stava