d'annunzio e la politica 551 da quei precedenti bellissimi sogni a tinte socialistico-umanitarie, solo per il fatto che esso è redatto da un grande artista e costituisce quindi un incomparabile squarcio letterario. E veniamo finalmente ai rapporti politici fra Gabriele d’Annunzio e il Fascismo. Oggi (1936) che l’adesione, la comprensione e sopratutto la feconda amicizia intellettuale fra il Poeta e « l’Uomo Novo che VOrbo veggente aveva annunziato ne' suoi canti della ricordanza e della aspettazione » (1) sono divenute notorie, complete ed infrangibili, non sarà privo d’interesse ricercare quale fu la ragione della voce corsa all’inizio, e divulgata specialmente all’estero dagli antifascisti, di reciproche incomprensioni. Questo esame obiettivo mi sarà tanto più facile in quanto che non solo io fui sempre in contatto diretto e quotidiano con d’Annunzio, dal suo ritorno da Fiume fino al novembre 1922, ma, durante il travagliato mese di ottobre che doveva concludersi con la Marcia su Roma, io fui fiduciario del Comandante in tutti i rapporti che intercorsero tra Benito Mussolini e lui. È necessario, per cominciare, di rifare una sommaria cronistoria dei contatti avvenuti fra d’Annunzio e il Duce del Fascismo sin dagli albori del Fascismo, tenendo sempre presente che cosi come la Marcia di Ronchi si identifica con d’Annunzio, la Marcia su Roma si identifica con Mussolini, e che, di conseguenza, scindere anche per un istante la persona del Duce dal suo Partito per inferirne che il Poeta possa essere stato « toto corde » con Mussolini, pur mantenendosi tepido verso il Partito da lui capitanato, sarebbe, ancor più che illogico, semplicemente sciocco. (l) Le «Cento e cento e cento e cento pagine del Libro Segreto », pag. CXI.