d’annunzio assiste all’inizio della guerra 469 cosi numeroso che l’esercito francese avrebbe finito certo, di quel passo, coll’essere composto soltanto di qualche migliaio di uomini? Certo d’Annunzio rideva di cuore, udendo tutte quelle insulsaggini, ma anche egli, come tutti i borghesi che mal si adattavano all’imprevisto allungarsi della durata della guerra, finiva col lamentarsi dell’inazione delle truppe, dell’imperizia dei comandanti, della chiusura dei teatri e della mancanza dello zucchero. E cercava di uccidere il tempo divertendosi, nei limiti del possibile. Dei suoi fug-gevoli ed onesti spassi fra i budda del « Pavillon de Luxem-bourg » da lui abitato in quel tempo, ho già parlato in un altro capitolo. Un giorno gli toccò persino l’avventura e la ventura d’essere arrestato. Si era recato una sera, solo (caso eccezionale) a far quattro passi; e al Ponte dello Chàtelet s’era indugiato a guardare lo spettacolo del tramonto e dell’acqua «fatta bionda dal riflesso delle nuvole bionde come Vacqua del Tevere » (1). Come al solito prendeva note su un taccuino. Un « ser-gent de ville » lo sorprese in questa attitudine, forse innocentissima in tempo di pace, ma equivoca in tempo di guerra. D’Annunzio ebbe un bel giustificare il suo atto poetico. La guardia lo condusse al più vicino Commissariato. Ma se un’umile guardia poteva ignorare d’Annunzio, non certo Pignorava un commissario; tanto meno quello del quartiere dello Chàtelet, dove, al teatro omonimo, s’erano, un anno prima, rappresentate due opere del Poeta. E, com’era da prevedere, dopo una breve e cordiale conversazione, nonché molte scuse, il Poeta fu rilasciato. Ciò non impedì che il giorno seguente sul « Gii Blas » apparisse, a firma di Michel George Michel, un trafiletto semi-velenoso in cui il giornalista affermava che l’arresto non era stato che (1) «Leda », pag. 217, ed. Treves.