D’ANNUNZIO e GLI ANIMALI 227 che il suo temperamento gli permetterebbe piuttosto di adattarsi ad una esistenza fra le belve che in compagnia di esseri umani volgari o anche semplicemente poco puliti. Bisogna tener conto anche di un altro elemento che spiega e aumenta, sotto un certo punto di vista, l’istintiva simpatia che il Poeta prova per le bestie. Egli, è nel senso più filosofico della parola (vale a dire in quello di « amore della conoscenza»), uno degli individui più curiosi che io conosca, « esercitato » come egli stesso disse « ad osservare tutto senza un attimo di tregua ». La curiosità è in lui sempre attiva e vigilante; e non è mai disgiunta da una certa diffidenza naturale, che è sempre stata la base dei suoi rapporti con qualsiasi essere vivente. D’Annunzio è il più pericoloso e il più implacabile osservatore che esista al mondo: un osservatore di squisita sensibilità a cui nulla sfugge: « Di tutte le mie facoltà » egli ha scritto, « quella che più assiduamente stimolo e aguzzo, è l'attenzione ». Fortunatamente per coloro che vivono con lui o che sono ammessi transitoriamente alla sua presenza, la sua acuta facoltà d’osservazione si associa ad una dose inesauribile d’indulgenza e di comprensione per qualunque debolezza umana, per qualunque vizio od anche semplice tara fisica o morale altrui. Sorprendere sul viso di un uomo un pensiero inespresso, scoprire sul viso di una donna una ruga anche se nascosta sotto il più sapiente trucco, rendersi conto del lato ridicolo di qualcuno, è per d’Annunzio un gioco. Dove la maggior parte della gente non vedrebbe nulla, egli vede, constata, giudica. Se si tratta di un difetto morale quasi sempre lo perdona. Spesso anche, col tempo, lo dimentica; ma che non l’abbia avvertito, è quasi impossibile. Solo gli imbecilli e i presuntuosi non provano alcun turbamento in sua presenza. Tutti gli altri risentono, sotto la fiamma penetrante dello sguardo di d’Annunzio, l’impressione poco piacevole che proverebbe, in una camera chiusa,