3°4 VITA SEGRETA DI GABRIELE D’ANNUNZIO da d’Annunzio, poiché, trentacinque anni dopo averlo adottato, egli scrisse: « Quando volli assumere un’impresa degna che io le obbedissi, esitai tra “ Per non dormire” e “Per non morire ”, entro la corona di lauro non chiusa; e poi desiderai d’averle entrambe scolpite ai lati di quel sepolcro solitario che amici e congiunti mi hanno promesso alla foce del mio fiume natale ». Comunque sia, tanto in un senso quanto nell’altro il motto ha l’evidente scopo di spronare all’azione. Piacque perciò immediatamente a d’Annunzio, che l’adottò, tanto più che in tutto il periodo della Capponcina il suo lavoro letterario fu quasi sempre notturno come quello di Saint-Simon e di Proust, e che il motto serviva di pratico contraltare ad un altro detto scherzoso ed abituale del Poeta: « Voglia di lavorar, saltami addosso ». E fu il motto del periodo più magnifico delle creazioni dannunziane. Altri motti gli furono in seguito assai cari: « Ardisco, non ordisco », e « Io ho quel che ho donato » (i), « Sufficit animus », « Semper adamas ». Mentre il primo è un motto di battaglia che racchiude una specie di sfida lanciata da Fiume al mondo intero, da quel d’Annunzio che tutto apertamente osava contro una Europa subdola che gli tendeva lacci e cercava di soffocar- lo negli intrighi, il secondo ha, secondo me, un’intonazione dolorosa di ripiegamento su se stesso e, se non proprio di rinuncia, di malinconia. Con questo secondo motto il Poeta sembra voler proclamare una grande verità della sua vita: « Ho tanto donato di me, della mia intelligenza, della mia bontà, della mia forza, della mia attività, del mio denaro a tutto il mondo, che ho diritto di possedere quel che posseggo ». Esso infatti diviene il preferito di d’Annunzio nel periodo del Garda, periodo il quale (checché lui pensi o creda) se- (i) Un’altra forma di questo motto, da lui qualche volta usata, è: « Io non ho mai predalo se tton per donare *.