D’ANNUNZIO E I SUOI SERVI 343 Mentre il « fedele Rocco » che appartiene al periodo dal 1895 al 1911, cede, come s’è visto, il dicastero degli Interni dannunziani, durante tutto il periodo francese, alla francesissima Aélis (e questa, a sua volta, durante il periodo veneziano, al gondoliere Dante Fenzo), durante gli anni della guerra e di Fiume chi assume e regge il dicastero suddetto con prestigio e gloria è un romano «delli Castelli», di nome Italo Rossignoli. Dal taciturno gondoliere all’esuberante Italo, il salto è grande. Tanto più grande in quanto quest’ultimo, giovinetto simpaticissimo, pieno di vita e di salute, dal viso costantemente raggiante e fornito di quella speciale sensibilità che posseggono tutti gli esseri semplici e primitivi, non solo esegue ciecamente gli ordini del padrone (secondo il principale dovere di qualunque dipendente fedele) ma, a furia di vivere con d’Annunzio, per uno strano caso di mimetismo, ne assume le attitudini, le espressioni e, in modo sia pur grossolano, persino la calligrafia. Per lui, il Comandante è un Dio. Data questa premessa, è naturale che egli cerchi di foggiare se stesso (nei limiti del possibile) ad immagine e somiglianza della divinità al cui fianco la sorte lo ha posto. Le espressioni letterarie dannunziane divengono in lui di uso corrente. Egli chiama Fiume «la Città olocausta » anche quando il tono banale della conversazione non lo richiederebbe affatto. Dice, per esempio: « Il diretto di Venezia arriva alla Città olocausta alle 14,20 », oppure: « Sono proprio squisite queste aragoste dell’amarissimo Adriatico ». Tutto ciò, ben inteso, non per celia, ma seriissimamente. La sua adorazione per d’Annunzio giunge a tanto da fargli spesso vedere pericoli immaginari per il suo padrone. Considerandomi uno dei pochissimi di cui si potesse fidare, egli mi scriveva delle lettere di questa specie: