28 VITA SEGRETA DI GABRIELE D’ANNUNZIO pretende e si bea di un minimo di trenta gradi, in qualunque stagione. E non vi rinuncia per nessuna ragione, tanto che mi scrisse nel febbraio 1922, dalla Villa di Cargnac-co, oggi « Vittoriale »: « Il calore nell’interno ha commosso tutte le travi: e i calcinacci cascano all'improvviso sul pacifico abitatore ». Ma non mi accenna nemmeno a voler diminuire la temperatura. Questo calore che, ancor più che tropicale, si può chiamare infernale, gli serve spesso ad accorciare automatica-mente le visite degli ammiratori, i quali, sudando come dannati e non osando per rispetto al Poeta lamentarsi della spaventosa temperatura dell’ambiente, si accomiatano con una scusa qualunque, dopo pochi minuti di represse e ineffabili sofferenze. Ho assistito al Vittoriale, nel 1921, al congestionamento progressivo di tre robusti e sanguigni gentiluomini genovesi, venuti dalla « Superba » a far omaggio al Poeta di non so più che cosa; congestionamento seguito da una vera fuga per timore d’asfissia. Poiché d’Annunzio m’aveva detto che desiderava che la intervista fosse breve, ricorsi, per essere sicuro del fatto mio, al consueto stratagemma. Due ore prima del convegno, feci « chauffer à blanc » l’enorme stufa che si trovava nel salotto da ricevimento (ora « Sala della musica »), in modo da ottenere, per l’ora dell’udienza, un calore equatoriale. Quando i gentiluomini genovesi entrarono ed io ebbi comunicato loro che il Comandante stava per scendere e che potevano accomodarsi, m’accorsi, osservandoli con la coda dell’occhio, che si scambiavano sguardi interrogativi e stupefatti. Quegli sguardi volevano dire: «Ma qui si muore!... ma non è possibile!... questo è uno scherzo!». Non avevano torto, poveracci, perché ritengo che il termometro fosse salito in quel momento a quaranta gradi almeno. In quell’istante entrò il Comandante ed anche il timido abbozzo di domanda che forse essi stavano per