l86 VITA SEGRETA DI GABRIELE D’ANNUNZIO Partito l’americano con la reciproca intesa che sarebbe tornato a Fiume un mese dopo per « girare » gli episodi dal vero che dovevano servire di cornice al soggetto, d’Annunzio passò quattro giorni chiuso nel suo appartamento ricevendo pochissime persone. Attribuii naturalmente il fatto a quella gestazione mentale che precede ogni lavoro letterario del Poeta. Ma sbagliavo. Dopo qualche altro giorno, essendo-misi offerta un’occasione favorevole per abbordare l’argomento, interrogai il Comandante, e seppi che non aveva ancora, come egli usa dire scherzosamente, « fatto mente locale ». Mi aggiunse che aveva bisogno di maggior calma di spirito e soprattutto di un’assoluta e indisturbata solitudine, almeno per una settimana, se voleva riuscire nell’impresa. Poiché Fiume attraversava un periodo di tranquillità, lo consigliai di incaricare del disbrigo degli affari correnti il generale Ceccherini, che godeva la sua intera fiducia, e imporsi una clausura effettiva ed assoluta. E cosi egli fece. Un’altra settimana trascorse, durante la quale il Comandante rimase pressoché invisibile. Quando riprese contatto col mondo esterno, mi recai immediatamente da lui, col cuore pieno di dolci speranze. Ma non durai fatica a leggere sul suo viso quella indefinibile espressione che hanno tutte le persone che riconoscono di essere in fallo, e specialmente i bambini che non hanno fatto il loro compito. D’Annunzio naturalmente attribuì a tutto, fuorché alla vera ragione, il fatto di non aver per nulla saputo approfittare di quel periodo di tranquillità e d’essere ancora al punto di partenza. La vera ragione (e non avevo bisogno che me la dicesse perché la conoscevo da tempo) è che d’Annunzio, come abbiamo visto, neppure per un regno può fare una cosa che non abbia voglia di fare. E, per sua disgrazia, la famosa voglia non gli era venuta! Né più gli venne! Le ottocentomila lire rimasero nelle tasche del signor Wilbur H. Williams.