d’annunzio e la guerra 681 Egli mi aveva detto qualche giorno prima della partenza: « Vedrai che la mia orazione di Quarto sarà considerata come uno squarcio di bella prosa: vi saranno molte acclamazioni, qualche banchetto con relativo brindisi, poi tutto ritornerà come prima... E noi faremo vela di nuovo per la Francia ». Il breve viaggio da Parigi a Genova doveva però modificare in gran parte le sue convinzioni. Già al {»assaggio della frontiera e più ancora all’arrivo alla stazione di Torino, la folla compatta che l’aveva accerchiato ed acclamato, gli aveva mostrato a qual punto un nuovo irrefrenabile brivido patriottico serpeggiasse nella massa del popolo. La successiva accoglienza di Genova doveva riconfermargli in modo ancor più solenne che la stragrande maggioranza degli italiani era già moralmente in armi e non attendeva più che un cenno per lanciarsi nella gigantesca mischia. In quella stazione in cui Gabriele d’Annunzio, quattro anni prima, in attitudine più di fuggiasco che di esule, era partito inosservato, accompagnato da un servo, un’incalcolabile folla, una marea di popolo lo accoglieva come un salvatore e lo acclamava freneticamente inneggiando alla guerra. Migliaia di persone lo seguirono al lontano Hotel du Pare, dove egli aveva fissato un piccolo appartamento. Il giorno dopo, d’Annunzio pronunziava ai piedi del monumento dei Mille la sua celebre orazione. I presenti appartenevano a tutte le regioni d’Italia. Il Poeta fu portato in trionfo. La dimostrazione popolare assunse un aspetto cosi sincero ed entusiastico, che egli giudicò vinta la causa e fece ritorno all’albergo con l’assoluta convinzione che la Nazione fosse ormai tutta per la guerra. Cosi assoluta era la sua certezza, che decise di partire l’indomani per l’Abruzzo per salutare la madre che da quattro anni non vedeva. La lotta era invece soltanto all’inizio.