d’annunzio e il dio denaro 159 Potrei continuare cosi con innumerevoli esempi. Ma ritorniamo al buon borghese ed alla sua incomprensione della mentalità del mio Eroe. Quando il buon « borghese » va a comperare una cravatta, potrà darsi che, sedotto dalla bellezza della merce, ne comperi due, tre e magari anche cinque, se è, per natura, prodigo. Ma se d’Annunzio entra nello stesso negozio, per lo stesso scopo, ne compera una diecina di dozzine di tutti i colori e tutte le fogge. E, siccome una volta che le ha portate a casa, incomincia, secondo il suo solito, a regalarne a fasci a tutti i conoscenti, amici e camerati che vanno a fargli visita, dopo un mese è ridotto a due o tre cravatte ed è costretto a rifare la provvista. Questi acquisti ripetuti hanno poi per d’Annunzio, oltre al danno immediato dell’aumento di spesa, un’altra conseguenza ancor più grave. Ed è che il commerciante (per una psicologia comune a tutti i bottegai del mondo), sedotto da questo eccezionale cliente che profonde il danaro in modo cosi inusitato ed insperato, assilla d’Annunzio con continue offerte di pagamento a lunga scadenza e ne provoca i desideri inviandogli ogni giorno merce anche non richiesta (la cosi detta merce in esame) che d’Annunzio per indolenza non si cura poi di restituire neppure se non intende acquistarla. Quando poi riceve i conti relativi a queste orgie di compere volute od imposte, il Poeta si imbizzarrisce e non lesina le proteste; e se poi viene citato giudizialmente al pagamento, allora la sua ira non ha più limiti, special-mente se, come nel caso che segue, è convinto di essere stato derubato. « Quel mascalzone di X t> mi scrisse una volta verso il 1903, « dal quale il tre volte buon Tenneroni ( 1 ) non è riuscito mai ad (1) Fedelissimo amico del Poeta, morto qualche armo fa, e che egli incaricava sovente del disbrigo di sue faccende personali. Parlerò di lui nel capitolo degli amici di d’Annunzio.