INTERMEZZO DIPLOMATICO 729 Ebbi il colloquio; ma gli avvenimenti avevano reso il venerando Sovrano inguaribilmente e definitivamente scettico. Egli confidava che l’avvenire avrebbe reso giustizia al suo eroico popolo éd alla sua dinastia secolare, ma il lucidissimo senso politico di cui era dotato gli vietava di credere in una possibile immediata attuazione delle sue speranze attraverso il programma di d’Annunzio. Inoltre, gli avvenimenti avevano fiaccato per sempre la fibra del vecchio leone delle montagne che per mezzo secolo aveva tenuto testa vittoriosamente ai Sultani di Turchia. A Parigi avevo preso alloggio in rue de Madrid. Ma se la rappresentanza di Fiume era domiciliata ufficialmente in quella via, in realtà essa svolgeva la sua attività al Café Napolitain, ove durante quel periodo convenivano ogni giorno, oltre ai soliti artisti e giornalisti rispettosi di una tradizione quasi secolare, molti stranieri di professione incerta e di condizioni politiche anche più incerte. Ignoro se il locale fosse controllato dalla polizia francese; quel che posso dire è che ciascuno vi manifestava senza ritegno e senza perifrasi il proprio sentimento politico e che nessuno ebbe a subire mai (almeno per quanto io ne so) alcuna noia dalla Autorità. D’una cosa invece dovetti accorgermi, che cioè i miei sentimenti fiumani urtavano quelli di altri frequentatori che non conoscevo di persona, perché, se non ricevetti mai, durante tutto quel tempo, alcun invito dalla Prefettura di Polizia, ricevetti in compenso, a casa, varie lettere anonime scritte in un francese « sui generis », nelle quali mi si suggeriva di non occuparmi con soverchio entusiasmo della città di Fiume e dell’ « avventuriero che la comandava » se non volevo subire qualche lezioncina che me ne avrebbe fatto passare per sempre la voglia.