272 VITA SEGRETA DI GABRIELE D’ANNUNZIO al lume della ragione pur di accaparrarselo, pur di averlo con loro, pur di vivere nella sua orbita. Cosi è oggi, cosi era ai tempi del cavaliere di Seingalt, cosi probabilmente era anche a quelli di Giulio Cesare e di Vercingetorige. L’idolo che sa approfittare di quel periodo ne esce milionario ed assicura largamente la sua vita per il giorno in cui fatalmente dovrà rientrare nell’oscurità per lasciare il posto al suo immancabile successore, che impugnerà lo scettro, giustificando una volta di più il famoso e francesis-simo grido: « Le Roi est mort. Vive le Roi! » D’Annunzio non seppe e, in parte, non volle approfittare dell’eccezionale momento. La sua natura, a torto considerata come esclusivamente « reclamistica », si arretra o, per esser più esatti, si accartoccia come il porcospino dinnanzi a qualsiasi situazione che abbia l’aria di ima imposizione o comunque di un obbligo. Ed imposizioni ed obblighi ne deve necessariamente subire ed avere anche l’idolo, soprattutto se vuole raggiungere dei vantaggi materiali. Ora, fare con sapienza, misura ed un pizzico di eccentricità, il comodo proprio, può essere un incentivo alla popolarità; il farlo invece sistematicamente, apertamente e senza alcun pudore, può determinare il rapido spegnersi della popolarità stessa. Non bisogna mai dimenticare che la popolarità è una fiamma e che con le fiamme non si scherza. All’arrivo di Gabriele d’Annunzio a Parigi, i gruppi stabili ed i gruppi mobili inscritti nel « Carnet Mondain » e nel «Tout-Paris » della Capitale si precipitarono, o direttamente o a mezzo dei loro rappresentanti, all’Hòtel Meuri-ce, dove il Poeta era sceso. Per « gruppi stabili» intendo quei « milieux » sui quali non è più ammessa la discussione e che, intellettualmente e mondanamente (due avverbi che in molti paesi fanno a pugni, ma che in Francia vanno a spasso a braccetto), dànno il tono alla vita di Parigi. Per « gruppi