d’annunzio e l’inconoscibile 393 di prove, ad accettare ogni versione della vita del loro idolo, attraverso le sue dichiarazioni personali e, se hanno la ventura di visitarlo, ad alcune parvenze di religiosità nella sua dimora ove però (bisogna pur dirlo) cosi come ninnoli di gran pregio ed autentiche opere d’arte stanno in mezzo ad opere di discutibile valore artistico, anche i più rispettabili simulacri religiosi e i motti più austeramente ascetici figurano tra immagini « ultra pagane » ed iscrizioni di ambiguo significato. La verità è che l’anima del Poeta non è mai stata sostanzialmente religiosa e che le sue emozioni sono sempre state d’essenza profana. Certamente in questi ibridismi e almeno in apparenza sacrileghe mescolanze v’è assai più l’insaziabile ardore del collezionista e la incontentabile curiosità dell’artista che non il piacere morboso di contrasti irriverenti ad audaci; nondimeno essi servono a provare una volta di più, senza che ve ne sia bisogno, l’assoluta assenza nel Poeta, non solamente di un vero sentimento cristiano ma perfino di quella deferenza innata che i più provano dinanzi alle immagini e ai simboli della Divinità. Della sua abitudine, quasi sistematica, di mischiare indifferentemente, e forse anche compiacentemente, il sacro al profano, la vita di d’Annunzio offre infiniti ed eloquenti esempi ed altrettanti ne offrono le sue opere. Non c’è che da scegliere (i). Alcune volte l’atto apparentemente irreligioso non risulta da circostanze impreviste, ma è compiuto da d’Annunzio in piena conoscenza di causa. In un periodo della sua gioventù, durante la sua lunga permanenza a Roma, egli soleva, e lo confessa, dare tutti i primi appuntamenti d’ogni sua relazione amorosa, nelle (i) Ne «L’Innocente », il protagonista Tullio Hermil, mentre sta per varcare la soglia che lo deve condurre vicino alla donna desiderata, dice: « Stavo per girare la chiave col tremito del devoto che apre il reliquiario ».