l’esilio 285 Fu quando parti per i’Italia nel maggio 1915: e me ne scrisse. Ma il momento critico fu superato, impegnando gli smeraldi per l’ultima volta, e quelle gemme che in tanti anni avevano avuto occasione di entrare in cordiali rapporti d’amicizia con tutte le Case di pegno e tutti i Monti di pietà dell’Europa, tornarono dopo la guerra definitivamente al proprietario, che ancor oggi le possiede se pure non le porti che raramente... Racconto in un altro capitolo come d’Annunzio ama lasciar credere d’essere un orafo abilissimo, un esperto cuciniere, un sarto di prim’ordine ; né ho detto ancora come egli tenga moltissimo a passare per un grande conoscitore d’opere d’arte e specialmente di quadri. È sempre stato questo, sin dalla giovinezza, uno dei suoi « vio-lons d’Ingres ». Ora non vi è dubbio che d’Annunzio, tanto per il suo gusto sicuro in ogni ramo dell’arte, quanto per la sua solidissima cultura artistica, sia un giudice quasi senza appello in materia di bellezza. Chiunque, credo, potrebbe affidarsi ciecamente a lui ed al suo giudizio quando si trattasse per esempio di individuare, fra diverse tele di un grande maestro, l’opera più insigne, quella in cui maggiormente appare il genio di chi l’ha creata. Ma il fatto d’essere un uomo di gusto quasi infallibile, di saper riconoscere ciò che è bello senza tema d’errore e di poterne facilmente dare le ragioni, è ben diversa cosa che l’essere un perito d’arte. Ora è invece proprio que-st’ultima qualità secondaria, alla quale egli tiene maggiormente, qualità che in fondo consiste nel saper distinguere, in arte, il vero dal falso, e cioè l’autenticità d’un’opera. Ragion per cui il maggior dispetto che si potrebbe fare a d’Annunzio consisterebbe nel dichiarargli (quando egli