l’uomo morale e... immorale 69 prefazioni, di redigere raccomandazioni, di presiedere adunanze, di capitanare imprese ideali, di accettare alti incarichi e, pure da quarant’anni, tutte queste promesse, nessuna esclusa, cadono inesorabilmente nel nulla, con matematica regolarità, anche se scritte, firmate, controfirmate, corroborate da telegrammi, da lettere, da conferme verbali dirette e indirette, da impegni solenni, da comunicazioni ufficiali. Eppure esistono ancora persone intelligenti, intuitive e seriissime che sono convinte che l’eccezione alla regola debba proprio essere, per speciale favore della sorte, riservata a loro. Il bello è che d’Annunzio, se osservato da qualcuno che lo conosca bene, rivela nello sguardo una specie di smarrimento preventivo nell’istante stesso in cui sta per formulare la promessa che sa già di non poter mantenere. Ha tutta l’aria di dire: «Dio mio, cosa sto facendo? Soccorretemi! Ammutolitemi! ». Ma la fatale promessa gli esce dalle labbra suo malgrado, e lo sventurato che l’ha ottenuta parte ebbro di speranze. Invano all’ultimo momento, per un sentimento di carità cristiana, il segretario, i servi, i familiari, tutti coloro che sanno quanto valgano simili promesse di d’Annunzio, ammoniscono l’illuso di non fidarsi troppo. È pena sprecata. Sorretto dalla fede più incrollabile, come un martire cristiano, lo sventurato non sa rinunciare al suo sogno. La gravità della disillusione poi, lo si capisce, è proporzionata all’entità della certezza che l’ha preceduta. E tanto è più grave, in quanto d’Annunzio persiste diabolicamente fino all’ultimo quarto di secondo, nella pietosa menzogna, continuando spudoratamente a confermare, a quelli che agonizzano nell’attesa, la sua pretesa decisione di mantenere quanto ha detto. Per quali ragioni d’Annunzio si comporta in questo modo? Per moltissimi anni non me lo sono mai potuto spiegare.