d’annunzio e il dio denaro 161 di? per fortuna che ho questa abitudine: se no, come me la caverei, ora? ». Ho già parlato delle sue mancie inverosimili e della sua mania di regalare a tutti, che gli fa profondere dei patrimoni. Non ho detto ancora nulla d’un’altra sua abitudine curiosa. D’Annunzio non è mai entrato in un negozio senza acquistare. Anche se non trova nulla che gli vada a genio, acquista ugualmente qualche cosa: « Capirai » dice, « è vergognoso non comperare proprio niente; che colpa ne ha lui [il commerciante] se non ha merce di buon gusto? ». I suoi desideri e quindi le sue spese, sono sempr e poi in rapporto alle somme che guadagna. Se ha incassato 500 lire, si limita a comperare dei fiori: se ne ha incassate 1000, degli oggettini carini; se ne ha incassato centomila, compra dei damaschi, dei portasigarette d’oro, dei cani e dei cavalli; se si tratta di un milione, delle case e dei terreni. E cosi via. Compera anche quando è nei più gravi imbarazzi: in una lettera del 1913 le sue prime parole sono: « Io sono tanto stufo di trovarmi sempre in guai per il danaro, che medito di ritirarmi in un Convento della Troppa ». E, due righe più sotto, nella stessa lettera: « Ordinami da David una bella rilegatura in marocchino verdino pel semestre del “Journal des Dames” (1) ». Un esempio analogo, lo trovo in una sua lettera del 1921, epoca in cui si occupava dell’arredamento della Villa di Cargnacco, sul Garda, che poi divenne il Vittoriale. Mi scrive: « Ieri dimenticai di rispondere intorno alle lampade. Credo che potremo contentarci dell'“argentatura patinata". La mia stanza è di circa 9 metri per 9. » (1) Si trattava di numeri d’un celebre giornale di mode a tiratura limitata, che si pubblicava in quell’epoca a Parigi e al quale d’Annun-zio s’era abbonato. n,