430 VITA SEGRETA DI GABRIELE D'ANNUNZIO con cui ella inseguì i cervi a Compiègne. Ella, nel profondare con la sua perfetta mano il coltello scintillante entro il collo dell'animale, aveva la stessa sicurezza, e la stessa calma che un'altra qualunque donna ha nel passare con un ago il candore d'una tela. Ella non aveva ripugnanza del sangue. Era fortissima a cavallo; andava incontro a tutte le bestie selvagge e a tutti gli ostacoli, intrepidamente. Nelle caccie di Compiègne, quando il cervo s'era gettato nel lago ed era stato raggiunto dai cani che dovevano trascinarlo in riva, l’Imperatrice con un impeto di gioia balzava a terra, sguainava il coltello e feriva la preda nel cuore. » Cosi era anche « Nikè ». Dato un tal modo di vivere da signorotto del Cinquecento, non si può nemmen dire che i denari fossero sprecati, ma piuttosto che scomparivano in una voragine. Se ne accorgeva il disgraziatissimo editore del Poeta, che quasi ogni giorno riceveva lettere imploranti e telegrammi disperati chiedenti denari, denari, denari, con un’insistenza ed una monotonia persino esasperanti. Quell’editore ero io. Lascio giudicare al lettore quanto il ricordo sia ancor presente al mio spirito. « Nikè », che per il suo ingegno e la sua coltura avrebbe potuto divenire per d’Annunzio l’ispiratrice e la sprona-trice al lavoro, fu invece (e non per colpa sua) la causa del più lungo periodo di improduttività di tutta la vita intellettuale del Poeta. Per quasi due anni e mezzo essa fu costantemente ammalata; molte volte in pericolo di vita. Gabriele d’Annunzio fu costretto a mutare la sua vita di artista e di amante, in quella di infermiere. Egli cosi mi telegrafava in quei giorni tristi (ed era certamente sincero) : « Operazione riuscita incompleta - le sofferenze sono orribili - il supplizio si prolunga ». E qualche tempo dopo : « Da tre settimane siamo nella orrenda tristezza di una casa di cura via B. 48 - Lunedi fu eseguita