d’annunzio e il teatro 635 si attuasse. Era infatti il più positivo dei tre e poteva a stretto rigore nascondere, fra le pieghe dei futuri suoi scenari, anche un successo commerciale. Eravamo nel 1910 e il Poeta, come altrove ho raccontato, era in quel momento l’idolo di Parigi. Oltre a questo importantissimo elemento di successo, ve n’era un altro e non certo da sdegnare. Il progetto era sorto, non già in un caffè di Montparnasse o in un cenacolo di artisti affamati, ma in vari saloni mondani i cui abituali frequentatori, tutta gente entusiasta di d’Annunzio, si chiamavano: Comtesse de Béarn, Deutsch de la Meurthe, Boni de Castellane, Singer, Maurice de Rothschild, Sarah Bernhardt, i Poliakoff, la Comtesse de Noailles, Madame Stern, Mary Garden, Romaine Brooks, la Comtesse de Maupeou e cento altri che il « Tout Paris » di allora elencava tra le glorie dell’arte, della mondanità e della finanza. In mezzo a tutto quel « gratin > parigino si distingueva, con la sua grazia un po’ affettata e con le sue smancerie leggermente equivoche, Robert de Montesquiou, « manager » mondano del poeta latino, e spronava i recalcitranti con la sua voce in falsetto. Si costituì una specie di comitato di preparazione. Un celebre avvocato parigino, Maître Hesse, se ne interessò. Furono preparati i moduli per le sottoscrizioni: d’Annunzio stesso ne vergò il modello di sua mano. Ma purtroppo l’inizio del progetto aveva avuto luogo a primavera avanzata. La messa a punto non era quindi avvenuta che alla fine di giugno. Ora chi ha vissuto a Parigi sa che qualunque iniziativa, qualunque affare, persino qualunque amore, anche il più forsennato, se non è condotto a termine nella metropoli francese prima del Grand Prix, è condannato ad una stasi ineluttabile che dura sino ai primi di novembre. Gabriele d’Annunzio parti per Arcachon, le signore per le spiagge, i signori per i « casinos », le attrici per le crociere, e il « Teatro di Festa » affondò come le galere di Caligola. E nessuno lo ripescò più.