D’ANNUNZIO E LA FAMIGLIA come vedo il mio avvenire fulgido di gloria, come vorrei che in questi momenti la Patria, gli Italiani, l’umanità intera fossero una persona sola per poterli abbracciare e dir loro: Io vi amo! (i). « Padre mio, madre mia, vi ringrazio senza fine di avermi messo al mondo, vi ringrazio con tutta l’anima d'avermi fatto buono di cuore; io vi adoro, e se la Patria avrà a gloriarsi di me, voglio che non a me, ma a voi sien date le lodi... « Addio! Dal profondo dell’animo io vi saluto, o genitori, o fratelli, o parenti, o amici, o maestro mio, o voi tutti che nutrite un po’ d’affetto per me! Dal profondo dell’animo mio io vi saluto, o Pescara, mia città natale, o acque dell’Aterno, o colli, o casa mia, che racchiudi cosi ricco tesoro di virtù e d’affetti! » Ed ecco un’altra lettera, da Roma: « Mio caro babbo, « ti scrissi ieri sera a lungo, ma ti riscrivo oggi per augurarti, con gran cuore di figlio, la felicità più splendida e più lunga che io abbia mai sognala per te. « Quello di domani sarà per me un giorno di raccoglimento e di pensiero. Ti rammenti quando ero bimbo e venivo di prima mattina in camera tua tutto scintillante di gioia e ti portavo i fiori? « Allora ero un fiore anch’io crescente al sole degli affetti fami-gliari e nessuna ombra di nube turbava mai la mia lietezza, e nessun desiderio vivo mi tormentava l’anima... « Ora non più fiore, ma quasi uomo, con forti nervi, con passioni ardenti, con ideali disperatamente agognati: ora non più fiore, ma quercia giovine e libera e con audacia sfidante i venti aspri della Vita. « Arriverò alle ultime vette dell’arte e della Gloria? 0 cadrò combattendo a mezzo del sentiero? (i) Dato che i detrattori di d’Annunzio sono arrivati a tanto da paragonarlo per i suoi vizi agli imperatori romani della decadenza, non sarà male confrontare questa frase del poeta giovinetto e quella del compianto Caio Caligola: « Utinam populus romanus unam cervicem ha-beret * (Per tagliarla, naturalmente!). 3*.