D’ANNUNZIO GIUDICA SE STESSO E GLI ALTRI II5 curato quel colloquio, come se gli avessi regalato un milione. Dal canto suo d’Annunzio, da quel giorno, parla sempre di Guido da Verona con grande simpatia; rimbecca i denigratori di lui, li ammutolisce con una di quelle sue frasi incisive che non ammettono replica. Ho detto che, in genere, sugli scrittori suoi contemporanei morti o viventi, d’Annunzio raramente formula opinioni e più raramente ancora ne scrive. Ma vi sono delle eccezioni. Del Carducci per esempio, che egli sempre considerò come un maestro e, la prima volta che lo vide, come un « terribile giudice », già parlava e scriveva con profonda ammirazione sin dai primi tempi: « Pur essendo in prosa un vero prosatore, il Carducci deriva dalla sua lirica, oltre il movimento e l’agilità dei passaggi, la maestria dell’architettura, la severità della costruzione. Egli è, anche in prosa, un abilissimo architetto. Guardate tutte le sue scritture. La proporzione delle parti è perfetta: la composizione è sempre studiata. Ciascuna scrittura è un organismo bene equilibrato, che sta di per se', solido e coerente come un blocco di cristallo. « La maestria di questo grande artefice risplende non solo nell’equilibrio dell’insieme, ma nella connessione e nella dipendenza delle singole parti, de’ singoli periodi, delle singole frasi. « Fra tutti i prosatori di questo secolo egli è quello che porta nella fattura de’ perìodi varietà maggiore e maggiore accortezza nella collegazione, nella disposizione, nell’ordine loro. Le risorse della sua sintassi sono innumerevoli, ed ammirevoli e non arbitrarie mai. « Giosuè Carducci è il più profondo conoscitor di parole che ab-bia oggi l’Italia ed è certamente il più ricco. La dovizia della sua lingua è larga come la sua sapienza nell’adoperarla. » Gli dedicò anche una « saffica », di sette strofe (A «Eno-trio Romano », autore delle Odi barbare) cosi entusiastica, che il Tissot, dopo averla tradotta in francese, vi aggiunse que-