LE DIMORE DEL POETA 203 « Pochi pensano che quelli oggetti sono stati raccolti con amore, sono stati custoditi con cura. Pochi cercano nella casa spogliata le tracce di quell'amore, di quella cura, di quelle predilezioni, di quel gusto. » Cosi descriveva d’Annunzio nel 1885, in un articolo di giornale, una vendita all’incanto dei mobili e degli arredi del Palazzo del Grillo a Roma. Egli non pensava certo d’essere, allora, il cronista inconsapevole ed anticipato della vendita d’una sua casa prediletta. D’Annunzio, mentre già si trovava in Francia, potè seguire giorno per giorno, attraverso i giornali italiani, la dispersione di tutto il patrimonio di cose rare e care che aveva abbandonato alla Capponcina, regalmente, senza neppur tentare di occultarne o di portarne via la benché minima parte, cosa che gli sarebbe stato facilissimo di fare e che gli era stata consigliata. Io che gli ero compagno, mai l’udii imprecare o recriminare. La sua dote di saper rinascere dalle proprie ceneri come la Fenice, non si smentì neppure in quella occasione. Non rimpiangeva più quel passato. Alla « vendita » non accennò con me che una sola volta all’Hótel d’Iéna. Interruppe di leggere il « Corriere » e mi disse indifferentemente, come se avesse parlato d’un fatto di cronaca: « Hai visto che hanno venduto per quindicimila lire il leggio? « Non l'avevo pagato che cinquemila, te ne ricordi? Non pensavo d’aver fatto un cosi buon affare! i>. Egli doveva superbamente scrivere più tardi: « Come la spogliazione dei beni vani fu agevole e quasi senza ombra di rammarico! Si vide che la magnificenza del mio vivere non era nei miei velluti e nei miei cavalli. Un branco di scimmie