D’ANNUNZIO GIUDICA SE STESSO E GLI ALTRI 125 nunzio Scrittore », prende facilmente delle cantonate quando si permette delle incursioni nel « D’Annunzio-Uomo », è però abbastanza nel vero quando afferma che «d’Annunzio non legge e non studia per l’amore dello studio, e che, se improvvisamente venisse a mancargli la frenesia creatrice, gli si estinguerebbe di colpo anche la pazienza e l’attenzione necessarie a percorrere un volume. Manca » dice il Borgese, e qui esagera « di dottrina occulta, di capitali nascosti, di chilifìcazioni inconscie; manca, in una parola, di quelle letture e di quelle contemplazioni inutili, cioè non premeditate ad un fine, che poi sono le più fertili e feconde ». Io però l’ho udito anche, qualche volta, rammaricarsi di non avere il tempo di leggere coscienziosamente (non di scorrere) alcuni autori che gli vengono segnalati: «Leggere le opere degli altri è per me uno svago » mi disse a proposito di Jack London, del quale manifestava il desiderio di conoscere l’opera. « E non ho quasi mai il tempo di svagarmi. » In conclusione, e per tornare ai suoi contemporanei italiani, posso dire che d’Annunzio pochi ne conosce, e che quei pochi che conosce, salvo rare eccezinoi, letterariamente poco stima, pur considerandoli tutti con la solita paterna indulgenza. Quando legge sa mettere a frutto al trecento per cento la sua lettura. La prodigiosa memoria e la rapidità dell’assimilazione suppliscono in lui, anche in questo caso, alla mancanza di conoscenza. Non so come faccia né se si serva di qualche potere occulto di divinazione, ma sta il fatto che d’Annunzio può parlare anche per un’ora di un libro che ha sfogliato per dieci minuti. Cosicché, in presenza di questo piacevolissimo orditore di piccoli inganni psicologici, abile nel comporsi sempre la maschera che vuole, l’autore che gli ha in precedenza