d’annunzio e la famiglia 607 mini alla loro prole, poiché possiede in proporzioni molto ridotte, benché stranamente travisati, diminuiti, modificati, esagerati, volti a scopi differentissimi, quasi tutti i difetti e le qualità del padre, tanto fisici quanto morali. Egli possiede in embrione tutto di Gabriele d’Annunzio salvo il genio creatore. Quello che nel padre è indecisione, in Mario d’Annun-zio diviene talvolta una specie di irrequietudine. Qjiel senso dell’umorismo che, in d’Annunzio padre, affiora elegantemente e continuamente nella conversazione e nelle lettere diviene in Mario cosi violento e universale per tutto quel che vede, sente o descrive da raggiungere il grottesco. I suoi discorsi, le sue lettere sono zeppi di questo umorismo «outré », di irresistibile effetto anche sul padre che spesso lo riconosce e se ne diverte. Assai più che egoista, Mario è un «rinchiuso». Come suo padre detesta tutti i mutamenti e l’ignoto. Ammira il padre come artista: non come uomo, non avendo mai potuto ragionevolmente ammettere che un padre non si rifiuti nemmeno il superfluo mentre il figlio lotta costantemente con le difficoltà dell’esistenza. Parlo del passato. Queste differenze di concetti hanno creato sempre uno stato di leggera incompatibilità fra padre e figlio, l’uno accusando l’altro reciprocamente di incomprensività e di egoismo. Un altro motivo, oltre a quello finanziario che fu sempre il principale, della poca fusione fra i due, è dato da un fatto psicologico più sottile e curioso. Mario, scettico per natura, ha qualche volta messo in dubbio la sincerità di taluni gesti paterni; e il padre che ha sovente intuito il giudizio del figlio, anche se inespresso, non si è mai sentito di perdonarglielo completamente. Ma devo ripetere che i conflitti finanziari furono sempre quelli che maggiormente crearono fra loro delle incom-