388 VITA SEGRETA DI GABRIELE D’ANNUNZIO spirito ed all’intelligenza altrui, da conquistare anche i più restii. Dopo quattro o cinque visite al Poeta-inquilino, Adolfo Bermond, che con l’ostinazione propria agli zelatori della Fede era riuscito a strappare a d’Annunzio la confessione che egli da tempo immemorabile non si avvicinava più a nessun sacramento, cominciò a pregarlo di volersi confessare e comunicare. D’Annunzio tergiversò: confortava il vecchio con dolci parole; prometteva vagamente, chiedeva di lasciar tempo al tempo. Mostrava insomma anche in questa occasione d’essere quel che era sempre stato: cioè non devoto né credente nel vero senso della parola, ma, d’altra parte, incapace di sprezzare cose religiose, o di burlarsene. Si videro ancora qualche volta; poi, dopo qualche mese Adolfo Bermond si ammalò gravemente. Aveva passato, come ho detto, gli ottant’anni e la sua fine era prossima. Prima di morire volle rivedere d’Annunzio, quei ch’egli considerava un po’ come suo pupillo spirituale; e d’Annunzio andò amorevolmente a trovarlo e negli ultimi giorni fino all’agonia passò ore intere al capezzale del morente che gli teneva strette le mani nelle sue e sembrava voler implorare per lui la grazia divina. Certamente mai, prima d’allora, d’Annunzio s’era trovato in una situazione spirituale e morale più favorevole ad una rinascita di quella fede in cui era nato e nella quale, da bambino, probabilmente aveva creduto... E da quel cumulo di circostanze favorevoli, che cosa nacque? Un meraviglioso libro di poetica e di patetica bellezza, intitolato: «Contemplazione della Morte». Siamo d’accordo; ma la reale ed effettiva contemplazione di questo trapasso mistico che nell’ « artista d’Annunzio » ha determinato la creazione di pagine d’umana altissima commozione, in realtà non ha mai provocato nell’« uomo d’Annunzio » che una profonda, arida, invincibile curiosità: la curiosità destata da uno spettacolo per lui nuovo.