AUT CAESAR AUT NIHIL 749 appeso al letto del Comandante di Fiume, mai ebbe una più esatta e fedele interpretazione. Infatti, e come capo e come uomo, egli « se ne fregò » in tutta l’estensione del termine, e se il motto fu crudo esso non fu meno eroico di quel- lo di Cambronne davanti ai cannoni inglesi di Waterloo. Non è mia intenzione illustrare gli atti politici del Comandante di Fiume, né fare la cronistoria di quel periodo che d’Annunzio, più tardi, chiamò « la nostra inimitabile vita». Essi appartengono alla storia. Vediamo invece come si comportò l’uomo durante la sua miracolosa avventura. Possiamo dire, per cominciare, che tutti i difetti e tutte le immense qualità e risorse di d’Annunzio figurano nel quadro generale della gesta fiumana. Mai nella sua vita, d’Annunzio fu più d’Annunzio che durante quel periodo; mai le sue doti di creatore, di amma-liatore, di beffatore sfolgorarono di tanta luce; mai le incoerenze e le contraddizioni del suo spirito ebbero maggior modo di manifestarsi. Dall’inizio alla fine, l’impresa è tutta di pretta marca dannunziana. I legionari e i cittadini non sono che le eroiche comparse del dramma. I loro desideri sono i desideri di d’Armunzio; d’Annunzio è il loro verbo, il loro motore, il loro spirito. La sua volontà si è completamente sostituita alla loro; non si vive, non si combatte, non si pensa, non si soffre che per Gabriele d’Annunzio. In lui è riposta ogni speranza ed ogni fede; il resto non conta nulla. Patria, parenti, abitudini, rancori, amori e odi, a tutto i legionari hanno rinunciato varcando le porte della città sospirata, simili agli antichi Macedoni, seguaci ardenti e devoti del loro divino condottiero. Per chi non l’ha vissuta, la vita di Fiume dal settembre 1919 fino agli ultimi giorni del 1920, è (come dice Galileo parlando degli abitanti della Luna) « inescogitabile ». Chi non fu allora a Fiume non può farsi neppure una vaga idea di quella vita; né possono essersela fatta, questa idea, coloro che stettero nella città soltanto per alcuni giorni,