376 VITA SEGRETA DI GABRIELE D’ANNUNZIO Da quel giorno il Poeta non visse più che dell’opera che stava scrivendo. Tutta la casa era letteralmente tappezzata di tutti i San Sebastiani che son stati dipinti, disegnati, scolpiti, attraverso i secoli. « Salendo le scale si ritrovava di gradino in gradino il “Martire” crivellato di frecce; e la visione di quel petto trafitto finiva col dare l’impressione » scrisse Gérard d’Houville « d’un astro circondato da raggi » (i). Il Poeta lavorava ininterrottamente dalle dieci di sera fino al mattino; raramente anche durante qualche ora del pomeriggio. Dopo cena, vale a dire dalle nove alle dieci, usciva dalla villa, solo o accompagnato da qualcuno dei suoi levrieri favoriti e camminava per la foresta del Moul-leau portando spesso una lanterna a mano per non inciampare. Non riceveva assolutamente nessuno. Malgrado gli pervenisse in quell’epoca, da Parigi e da Milano, una corrispondenza considerevole (una ventina di lettere al giorno e una dozzina di telegrammi) non apriva e non leggeva che questi ultimi. Il rimanente lo aprivo io, coll’ordine categorico di non comunicargli nulla né di buono né di cattivo, eccettuate le notizie riguardanti sua madre. Se interrompeva qualche volta il suo lavoro non era che per inviare qualche lettera a Madame Rubinstein, la futura interprete del dramma. Le scriveva nel gennaio del 1911 : « Mio amatissimo ‘‘fratello,, « Ho fatto quel che dovevo. Ho lavorato. Troverete il primo atto (1) Quando il Poeta si trasferì a Versailles per seguire personalmente le prove della tragedia al Teatro dello Chàtelet, volle che io gli inviassi tutte le riproduzioni dei quadri del Santo che aveva lasciato ad Arca-chon. Mi scrisse: « Ti prego di staccare con grazia dalle pareti del mio studio tutti i Sebastiani e le altre fotografie (dalle porte, dai muri, dal paravento). E ti prego di spedirmele ».