D’ANNUNZIO E IL DIO DENARO i65 Passata qualche settimana, ripensa però a quell’affare dei manoscritti, e mi propone una soluzione più ragionevole di quella del venditore ambulante. « Se riuscirò a combinare il film, avrò un milione, ma intanto ho bisogno di danaro corrente. E ho sullo stomaco tanti manoscritti. Non hai qualche pescecane che ne comperi qualcuno? Ti lascio il 20°l0. Aiutami. Gabriel. » Qualche volta anche, di questa sua eterna e monotona situazione di « debitor perpetuo » finisce collo scherzare, tanto che a me che gli scrivo, nel 1918, che cosa intenda di fare (sempre si capisce dal lato patrimoniale) risponde: « Forse passerò effettivo per far carriera. 0 mi contenterò del reddito delle mie decorazioni eguale al mio stipendio di scrivano nazionale. 0 finirò bolsceviko, non senza fantasia. O morirò domenica di febbre spagnola! Ti abbraccio. Il tuo Gabriele d’An-nunzio “invalido”. » La corrispondenza, la conversazione, la vita intera di Gabriele d’Annunzio è avvelenata dalla preoccupazione del denaro. Questa è un « leit motif » che inizia e conclude qualsiasi sua sinfonia. Si può forse escludere (fino a un certo punto) l’epoca fiumana. Ma ciò unicamente perché la sua situazione di Capo gli permette di avere tutto quel che gli occorre senza pagare, o, per essere più precisi, senza pagare personalmente. Il Comandante non ha che da dare ordini; non ne abusa mai, bisogna riconoscerlo, ma quel che gli occorre può sempre avere. Deve offrire un pranzo di cento coperti? Ordina che si provveda e il pranzo ha luogo. Gli occorre un cavallo da sella? Non ha che da manifestare questo desiderio, e i suoi <1 arditi » la mattina dopo si presentano all’alba sotto le sue finestre con venti puledri « rapiti » durante la notte alle truppe italiane accampate alle porte della città.