362 VITA SEGRETA DI GABRIELE D’ANNUNZIO « Ho notato » ha scritto in un suo libro « che la più bella pagina è quella scritta nell’ora dei sogni, nell’ora del gallo e della brina. » A Madame Rubinstein, scrisse mentre stava componendo il «San Sebastiano»: «Je travaille toutes les nuits jusqu’à l’aube tardive ». E, nel 1929, a Gardone, per scusarsi d’un ritardo nel ricevere al Vittoriale me e mia figlia, mi mandò il seguente biglietto: « Dell’indugio, chiedo scusa alla Mera, non a te che devi ricordarti come io sia “notturno”. Lavoro dalle otto di sera al mezzogiorno dell’indomani. Stamani ho cessato in onor tuo, verso le nove; ma le solite noie postali mi hanno impedito di coricarmi prima delle dieci ». Mai egli ha scritto nelle ore che vanno dalle nove di mattina alle prime ore del pomeriggio, ore durante le quali invece, dato che abbia lavorato tutta la notte, dorme di un sonno placidissimo e, per sua stessa dichiarazione, senza sogni. Accanto al suo tavolo da lavoro tiene sempre dell’acqua in ghiaccio, della frutta in gran quantità, dei biscotti inglesi, del tè leggero, pure in ghiaccio. Non prende mai caffè: non fuma. Mentre scrive, la sua bocca ha una salivazione abbondantissima ch’egli asciuga man mano con un fazzoletto (ne ha sempre quattro o cinque a portata di mano) stretto nella mano sinistra, appoggiata al foglio su cui scrive. Fino all’epoca della sua partenza per la Francia, vale a dire fino al 1910, la maggior parte delle volte scriveva stando in piedi davanti a un piccolo leggio. Si serviva di penne d’oca delle quali aveva sempre un vassoio pieno accanto a sé: 1’ « irsuta selvetta di penne! ». Erano i tempi delle lampadine elettriche dissimulate nelle piccole « clessidre » in vetro giallo; della campanella monastica che annunziava le ore dei pasti; dei petali di rose sparsi sui tappeti; di tutto, insomma, un armamentario materiale e morale di sapore cinquecentesco, che cessò di