d’annunzio GIUDICA SE STESSO E GLI ALTRI I39 ritorno, quando io gli chiesi quale fosse stata la sua impressione, mi rispose: « Quella di un soave rammollimento ». Nei primi tempi della sua attività letteraria d’Annunzio studiò e si abbeverò con avidità alle fonti straniere. Aveva anche una grande scusante. In quell’epoca, oltre a Carducci, Pascoli, Oriani, Verga, il buon De Amicis, e a qualche altro, quali scrittori aveva l’Italia? Quali erano quelli che erano stati da poco tempo deposti nella tomba « et jam putebant » ? Quali coloro che erano sul punto d’entrar vi? I Prati, i Niccolini, i Fusinato, gli Aleardi, i Grossi, i Poerio, i Settembrini, i Carcano, i Ruffini, gli Zanella, i Cantii, i Revere, i Giovagnoli, i Cossa, ecc. ecc. I viventi si chiamavano: Panzacchi, Nencioni, Graf, Capuana, Praga, Paolieri, Fucini, Gnoli, Farina, Alber-tazzi, De Marchi, Barrili ed un’altra mezza dozzina di ri-spettabili persone di analoga levatura intellettuale: tutta gente i cui scritti, se non i nomi, per il novanta per cento delle persone colte d’oggi (esclusi gli specialisti di studi letterari) sono altrettanto ignoti quanto i poeti cinesi del terzo secolo avanti Cristo. E di costoro, d’Annunzio scriveva, alla fine del 1892: « Questo anno muore oscuramente, per la letteratura italiana, non illustrato da alcuna manifestazione notevole e né pure confortato dalle speranze che son solite fiorire di questi giorni nelle selve rosse e nere degli annunzi librari. Invano le riviste di letteratura vecchie e nuove chiamano a raccolta strepitosamente le giovani forze e si affannano a risvegliare i sonnacchiosi. Il breve strepito cade; e le pagine delle riviste e dei giornali portano in giro le solite prosette e le solite rime di quei soliti dieci 0 dodici letterati regnicoli che da troppi anni ammanniscono sempre lo stesso intellettual pasto ai candidi lettori. « Lasciamo passare quelle prose e quei versi come le polke e le romanze degli organetti esercitati per le vie pubbliche dagli orbi.