68o VITA SEGRETA DI GABRIELE D’ANNUNZIO brazione garibaldina in una atmosfera di rinnovellato e vibrante patriottismo (i). L’invito, emanante dal Municipio di Genova, era stato preventivamente approvato (il che voleva dire deciso) dal Governo. D’Annunzio accettò l’incarico; e il testo dell’orazione che egli scrisse in cinque giorni, venne inviato per il relativo collaudo governativo. Si pretesero alcune lievissime modificazioni, e si giunse facilmente ad un accordo. Nel frattempo però, cioè agli ultimi d’aprile, il Governo italiano aveva firmato segretamente con gli Alleati il Patto di Londra, secondo i termini del quale l’Italia si impegnava a scendere in campo contro la coalizione avversa non oltre il 24 maggio. I fatti avevano dunque condotto a questa paradossale situazione: da un canto d’Annunzio che si preparava a lanciare dallo scoglio di Quarto una vera e propria fanfara di guerra, col solo ed unico timore che il Governo tentasse di attutirne il rimbombo; dall’altro canto, un Governo che avendo ormai gettato il dado (almeno quello ufficiale) in favore dell’intervento, incominciava a titubare di nuovo dinnanzi a correnti ostili, ed a vedere perciò in d’Annunzio l’araldo indispensabile per controbattere le mene sotterranee degli anti-interventisti che indefessamente complottavano sotto il comodo e tenebroso palamidone di Giovanni Giolitti, fautore del “ parecchio ”. Certo, quando alla Gare de Lyon, la sera del 2 maggio 1915, d’Annunzio mise il piede sul predellino del vagone che doveva portarlo a Genova, se qualcuno gli avesse affermato che egli non sarebbe più tornato in Francia, se non per due giorni e per via d’aria (2), avrebbe sorriso scetticamente del singolare vaticinio. (1) Il suggerimento (lo seppi poi in modo certo) era venuto dal grande patriota e scrittore Ferdinando Martini, allora ministro delle Colonie. (2) Volo di Épemay.