700 VITA SEGRETA DI GABRIELE D’ANNUNZIO talmente che arrivò (prima ed unica volta nella sua vita) ad accusarmi, con parole aspre ed ingiustificate, d’aver troppo mollemente difeso i suoi interessi; parole delle quali, debbo dirlo a suo merito, si dolse più tardi, passata la bufera. Gli « Aveux de l’Ingrat » apparvero poco dopo in volume, né contro la pubblicazione libraria venne sollevata alcuna eccezione. Il vecchio Tigre, forte di sessant’anni di giornalismo, sapeva troppo bene quale fosse la portata di un articolo che vien letto da decine di migliaia di persone in un giorno, e quale quella di un volume che vien comperato soltanto da una ristretta classe intellettuale di lettori. Contrariamente a molti, d’Annunzio non pensò quasi mai a quel che sarebbe avvenuto dopo la guerra, né mai me ne parlò. Il solo accenno confidenziale al problema dell’avvenire della Patria, che si riallacciava a quello del suo avvenire personale, lo troviamo in una lettera della fine del 1918, pure diretta a me. Si può dire in poche righe che v’è tutto d’Annunzio: la sua poca fiducia nella lealtà degli uomini; la sua congenita esitazione; il suo amor patrio; il suo indistruttibile desiderio per l’avventura. « Qtiale sarà » egli si chiede « la vita italiana dopo la guerra? Persisterà il disagio che mi spinse ad esulare? Se sopravivessi, e non me Vauguro, che farei qui? Un'altra guerra. Pronto sempre a farla ma non con armi infide. L'argomento è troppo vasto ed aspro. * E conclude virilmente: « Per ora, combattiamo e perseveriamo. »