LA CORRISPONDENZA DEL POETA 527 Uno che disapprovava il volo su Vienna, perché incruento, scrisse una lunga lettera di recriminazioni e concluse : «Bombe ci vogliono per gli Alemanni ! Altro che foglietti ! È ora di finirla colla Indulgenza Plenaria! » Finalmente uno che scrive intermittentemente da anni, ce l’ha coll’agente delle tasse. E conclude mestamente: « Mi hanno detto che tu non le paghi. Come fai? » Quando d’Annunzio ricevette questa lettera, dopo averla scorsa si volse verso di me e seriamente mi disse: « Vedi? anche questa è una leggenda che bisognerebbe sfatare. Se sapesse che dovrò certo pagare persino la tassa sulla donazione che ho fatta del Vittoriale allo Stato! Telegrafaglielo, che almeno sarà contento anche lui, poveraccio! » Al Vittoriale, ai secondo piano, accanto alla biblioteca ove d’Annunzio lavora, v’è una camera che nei primissimi tempi il Poeta aveva destinato agli eventuali suoi ospiti. Egli afferma che nei severi scaffali di noce che ne coprono quasi interamente le pareti, sono accumulate le lettere da lui ricevute in questi ultimi vent’anni. Non ho avuto occasione di controllare la verità di questa affermazione, che ho però ragione di ritenere alquanto esagerata. Ad un primo sguardo superficiale gli armadi apparirebbero piuttosto pieni zeppi di carte, che di vere e proprie lettere. Al centro, v’è un tavolo pure di noce, con sopra un calamaio senza inchiostro e senza penna. Sulla porta della stanza sta scritto: « Stanza del Monco ». La decorazione del soffitto e di parte delle pareti è costituita tutta da mani recise colla palma aperta. Forse la creazione di questa curiosa stanza, nella quale