D’ANNUNZIO GIUDICA SE STESSO E GLI ALTRI 127 lodare i primi saggi di un giovinetto che mostrava qualche attitudine a fare dei versi (sic). Oggi sento il bisogno di protestare, perché lo spettacolo di questa gioventù che fa, dell’ingegno, strumento a corrompere se stessa e della sua corruzione si compiace e si gloria, mi fa paura per l’avvenire della Patria » (sic). Povero Chiarini! Egli non pensava certo che trent’anni dopo, l’unico suo titolo, non dico di gloria, che non ne meritava molta, ma di notorietà era proprio quello d’aver lodato i primi passi poetici del giovinetto d’Annunzio, destinato secondo lui a mettere in pericolo la Patria. Al Chiarini in quell’epoca si aggiunsero altri come il Nencioni e come il Panzacchi che trattarono d’Annunzio semplicemente da «poeta porco ». Tutta brava gente di cui, più o meno, nel grosso pubblico, rimane oggi lo stesso ricordo di quello dei fischiatori di Wagner all’Opéra di Parigi. Ma se in genere d’Annunzio sdegnò difendersi dagli attacchi dei critici e lasciò ad altri il compito di spezzare lance in suo favore, alcune volte, come ho detto, si imbizzarrì e vibrò calci. Per esempio, quando la critica s’accani furibonda contro il suo dramma « Più che l’amore », egli rispose a coloro che si erigevano a suoi giudici, con una filippica che rimase specialmente famosa per l’epiteto di « Catoncelli sterco-rarii » col quale bollò i suoi denigratori. In altri tempi, egualmente mal sopportò una campagna iniziata da Domenico Oliva (ed appoggiata subito, com’ era naturale, da molti altri) intesa a creargli una specie di antipapa nella persona di Sem Benelli, divenuto improvvisamente celebre dopo il successo della « Cena delle Beffe ». Sono sicuro che egli pensava ancora a questo lontano episodio, quando nel 1911, ad Arcachon, al mio ritorno dall’Italia dove m’aveva inviato per affari suoi, mi chiese ridendo: « Hanno scoperto qualche nuovo genio, in Italia, dopo la mia partenza ? ».