148 VITA SEGRETA DI GABRIELE D’ANNUNZIO Tuttavia, una volta nella sua vita, e non nella giovinezza, per un breve tempo, il nostro Poeta, come ho accennato all’inizio di questo capitolo, conobbe, se non proprio la povertà, uno stato di triste ed avvilente mediocrità. Subì la piccola casa borghese e la vecchia ed arcigna « padrona », conobbe e sopportò la « bonne à tout faire », l’illuminazione a petrolio, il meschino caminetto di terra cotta e l’immancabile atroce suono del pianoforte stonato dell’inquilino accanto. E, per dire il vero, sopportò questo passeggero stato di cose con incredibile rassegnazione, tanto più lodevole in quanto, per uno spirito aristocratico come il suo, quella mediocrità « piccolo-borghese » doveva rappresentare uno strazio assai più intollerabile dell’indigenza assoluta. Era lo scorcio del 1910; forse, anzi senza forse, eravamo gli unici due italiani residenti nelle Lande francesi. D’Annunzio, per sfuggire ad una ospitalità che non gli garbava, mi aveva incaricato di trovargli nei dintorni di Arcachon un appartamento, una villetta, una residenza qualsiasi, purché isolata ed indipendente. Ed io, dopo molti pellegrinaggi improduttivi, avevo finalmente scovata una casetta umidiccia, perduta nella foresta del Moulleau, composta di nove o dieci locali, dei quali la metà abitati da due antiche zitelle e da una loro nipote sciancata; vecchie nobili della Guadalupa, ritornate a morire in Francia dopo decenni di soggiorno in colonia. Sembravano uscite da un romanzo di Balzac. Persino il loro nome aveva un sapore romanzesco: Mesdames de Rio Nègre. La villa aveva anch’essa un nome tra il fatidico ed il curioso: «Villa Charitas ». Nessuno visitò il Poeta in quel periodo di circa tre mesi; egli non ebbe altri rapporti umani che con una vecchia domestica brontolona e squilibrata e coll’autore di queste memorie.