GLI AMICI DI D’ANNUNZIO 565 febbrile azione, il confratello d’arte, l’antico compagno di piaceri edigusti, l’esteta, l’intellettuale, anche se legati a lui da intimissimi legami d’affetto e di consuetudine, diventano ai suoi occhi degli indifferenti, oserei quasi dire, degli individui buffi; e ciò per il solo fatto che essi gli appaiono momentaneamente anacronistici. Ma, qualche mese dopo, la gesta di Fiume si chiude tragicamente. Il Poeta parte; riprende la sua esistenza d’artista e di letterato. Ed ecco che immediatamente gli intellettuali dimenticati hanno la loro rivincita. Essi ridiventano i suoi amici, i suoi commensali, i suoi indispensabili. E i camerati del periodo di Fiume sono relegati al posto ch’era prima occupato dagli artisti. Infatti, egli non esiterà a dirmi (dopo una colazione avvenuta a Gardone nei primissimi giorni del suo arrivo sul lago e alla quale avevano partecipato alcuni suoi fedeli di guerra) : « Hai notato come diventano scialbi gli eroi quando hanno finito di combattere? » e a concludere: « Come comprendo ora Garibaldi che, presentando ad un amico un suo valoroso camerata, disse crudamente: ''''Permettimi di farti conoscere un eroico idiota” ». Del resto, se d’Annunzio non ha potuto essere un vero amico per nessuno, la ragione è molto semplice: « egli non poteva esserlo ». Certo, se per amico noi ci limitiamo a considerare quell’essere ideale (stavo per dire irreale) che non si rifiuta a prestarci dei quattrini o a scrivere per noi una raccomandazione ogni volta che ne abbiamo bisogno o che glie la chiediamo, allora si può affermare senza esitazione che d’Annunzio è il più grande amico che esista sulla terra, poiché durante tutto il corso della sua vita non ha fatto altro che distribuire regalmente denaro, senza mai contare e senza mai chiedere un rigo di ricevuta. A questo proposito e con finissima arguzia egli mi diceva un giorno (eravamo nel 1909): « Ho prestato ieri a X... mille lire. Ecco purtroppo un nuovo nemico che mi sono procurato! Non me lo perdonerà mai ».