TRIESTE 157 passeggiatori dell’ Acquedotto nelle sere d’ estate, i vagheggiatori di donne nei pomeriggi dei dì di festa su la spiaggia di Barcola, rifuggano dal pensare alla città arida, polverosa, uniformata all’ordine rigido dei suoi magazzini allineati, che vive in un tumulto e in una febbre, tra strepito di carri, fischio di locomotive, cigolio di grù, tonfo sordo di sacchi, bestemmie di scaricatori e ululi di sirene, al di là della cinta murata. I triestini, in quanto sieno estranei al commercio, hanno il puntofranco per un paese lontano : non sanno le sue vie interminabili, i suoi magazzini dal tetto a terrazza, sul quale cresce l’erba come un po’ di peluria sopra un’immensa calvizie, la marcia monotona degli hangars tutti uguali, il loro parallelismo con i grandi piroscafi delle linee d’America e d’Estremo Oriente, che s’ alzano lugubri a intercettare la vista del mare o si schiacciano sovra il pelo d’ acqua, allargati e sformati dal peso