TRIESTE 159 di verde, girano gli occhi sospettosi a controllare i rigonfi delle saccocce, meccanicamente, come se saettassero fasci di luce per un mare infido, esalante troppo tentatrici fragranze di zucchero e di caffè. Dalla tolda dei transatlantici che trasudano l’ olio e il vapore dagli argani or ora affaticati, i marinai guardano Trieste come una città da panorama, meravigliosamente bianca, parassitaria e felice, al di là del grigio squallore, della nera sordidezza e della grandiosità di ciò che è uniforme e della incoerenza di ciò che è vario nella ruvida selva del porto, dove le gru si sbracciano come alberi mozzi e i cordami delle navi pendono come le liane.