TRIESTE 3 si ricongiunge dolcemente alla ondulata fluidità delle colline istriane, che esitano in un diramarsi di punte, in un divarcarsi di piccoli golfi, e poi s’allungano e s’affilano verso occidente. Il bianco quasi salino della città è ancora appiattito nel paesaggio; non ha rilievo sui colli ai quali si appende e si arrampica. Finalmente, Trieste è vicina. Allora, se non soffi la bora, il suo terribile vento, e non incrudisca l’atmosfera in una purità glaciale, la città si rivela sotto il manto di fumo che la avvolge, in una calda armonia di bruno e d’oro, di grigio e d’argento. Fumo di piroscafi in lunghe matasse bambaginose ; fumo di opifici in cupole e padiglioni fluttuanti; fumo degli altiforni di Servola, arruffato, tempestoso, sparso per il mare, infocato da baleni di fiamma, per il grande incendio che arde perpetuo nelle otto torri nere appiattate dietro una collina che porta un villaggio tranquillo.