LA COSTIERA TRIESTINA DA BARCOLA AL TIMAVO. Stranamente contrasta coll’aspetto giocondo della città e coll’indole piacevole de’ suoi abitanti la natura dei luoghi che la circondano : quello che Charles Nodier notava cento anni fa, che < la position de Trieste a quelque chose de mélancolique qui serrerait le cœur, si l’imagination n’était pas distraite par la magnificence des constructions et par la richesse des cultures >, è una impressione che anch’oggi colpisce chiunque voglia un momento allontanarsi dallo strepito giocondo del lavoro fremente nel porto e trascorrente per le vie. A pochi passi da questa vita attiva e godereccia, sono angoli silenziosi, che invitano alla meditazione ; e la meditazione è il preludio della malinconia. I vigneti ed i verzieri, che s’incontrano dove finisce il caseggiato, salgono poco verso il monte: basta volgere il capo in alto per vedere come la scarpata dell’altipiano abbia mantenuto la sua rigida natura carsica, pur in vista della città. Si indovina che qui finisce qualcosa, che un mondo diverso si apre al di là di quella roccia. E veramente basta salire meno di quattrocento metri sul livello dell’Adria, perchè venga meno la floridezza dell'agro triestino, e, attraverso le prime selvette di pini neri, si giunga al borgo di Opicina, davanti al quale si apre l’altipiano sconvolto del Carso, bianco di calcare e cupo in lontananza per le foreste profonde di Ternova e di Piro : chiudon la vista le vette delle Alpi Giulie, terra contesa fra due nazioni combattenti. Ma a me non tocca guidare il lettore tra il vento delle forre montane e scen-