— 43 — A Spalato in ugni modo, nella seconda metà del trecento, il dalmatico doveva essere in una tale fase di trasformazione da essere, nella maggior parte dei casi e senza soverchia difficoltà, inteso e da veneti e da non veneti. 1 nostri testi ce ne sono documento sicuro. * * * Qui il nostro studio dovrebbe essere finito. Ma non vogliamo mancare all’impegno assunto più volte, direttamente e indirettamente nel corso di questa trattazione, e abbandonare il lettore proprio nel momento più delicato della evoluzione del volgare neolatino di Spalato. Si è troppo chiacchierato, senza fondamento alcuno, di una pretesa slavizzazione di questa città, perchè qui noi non si senta il dovere di seguire l'idioma che abbiamo tratto dalla notte in cui le vicende delle terrene cose e la malizia degli uomini l’avevano cacciato, anche più in là dei limiti che abbiamo segnati a questo lavoro. E cominciamo con l’esprimere la nostra maraviglia come un documento linguistico della mole e dell’importanza dello Statuto volgare spalatino del 1395 possa essere rimasto quasi ignorato. L’edizione — ottima per quei tempi — ne fu curata dal benemerito e infaticabile Giuseppe Alacevich, e pubblicata come supplemento alle annate II-X del Bullettino di archeologia e storia dalmata ‘). Per quanto nel gennaio del 1878, quando l’Alacevich scriveva la prefazione dell’opera sua, gli studi intorno al dalmatico fossero ancora da nascere, l’editore sagacemente avvertiva essere questo Statuto di Spalato « un documento linguistico di molta importanza». Infatti, a chi oggi ne consideri la lingua appare subito la grande affinità tra essa e il volgare dei nostri documenti. Non siamo che a venti anni di distanza. La parlata spalatina ha sofferto un poco, si è fatta più vicina al veneto e alla lingua letteraria, ma serba ancora molte caratteristiche che la distinguono nettamente e dall’uno e dall’altra2). Entriamo nel quattrocento. In quel secolo, nel quale, secondo alcuni, Spalato dovrebbe essere stata completamente slavizzata e il dalmatico ') Spalato, annate 1878-1888. 2) La maggiore vicinanza alla lingua letteraria va senza dubbio ascritta allo sforzo del traduttore di compiere opera linguisticamente pregevole e intelligibile anche a non spalatini. Ma molte, moltissime volte, egli si lascia prendere la mano dalla parlata indigena. Eccone alcuni esempi, tolti dalle prime due facciate dell’esordio: amaistratu ammaestrato; in luri = in loro; lu dritu = lo diritto; li leggi = le leggi; pacifichamenti et quietamenti = pacificamente e quietamente; scripto = scritto; lu vultu de diu = il volto di dio; non dimino = nondimeno; epse = esse; chliesie = chiese; ecc.