- 41 — solo nella grandissima varietà di forme che occorrono in testi diversi ma nella stessa incertezza da cui sono dominati gli scrittori o i dettatori di uno stesso testo. Facile assai, ma estraneo agli scopi e allo spirito di questa introduzione, sarebbe segnalare o recare esempi di queste varietà e di queste incertezze. Ma una, tipicissima, vogliamo tuttavia notare: la doppiezza che si manifesta nello stesso nome della città di Spalato. Infatti, accanto a Spalatura, troviamo frequentissima la forma Spalelum, della quale anzi si sono serviti gli slavi per formare il loro Split. Come in tutti i testi sorti in periodi di transizione, o provenienti da regioni dove sono in lotta dei linguaggi, così anche nei nostri documenti si riscontra una maggiore o minore purezza, o meglio una maggiore o minore vicinanza all’uno o all’altro di questi linguaggi, al veneto o al dalmatico nel caso nostro. Le cause determinanti queste varietà possono essere svariatissime : diversità di educazione che i parlanti o gli scriventi hanno ricevuto, natura dell’ambiente dove sono nati e vissuti, persone che praticano o hanno praticate, relazioni che mantengono e così via. Per questo, nel commento storico e paleografico che facciamo seguire ad ogni documento abbiamo tentato tutte le vie e ci siamo valsi di ogni possibile sussidio della scienza storica e paleografica, non solo per determinare il grado di cultura e gli studi percorsi dai singoli scrittori, ma abbiamo anche tentato di identificarli o almeno di stabilire l’ambiente da cui provennero e quello in cui vissero e operarono. Non spetta a noi giudicare del maggior o minore grado di purezza dell’uno o dell’altro dei nostri documenti, nei riguardi del volgare dalmatico. Ci basti constatare che i notai transmarini non sempre capivano questo volgare o se lo capivano non sempre arrivavano a rendersi conto della sua natura e della sua origine. Abbiamo veduto discorrendo del documento n.ro VI, come il notaio Pietro da Sarzana non ne intendesse parecchie parole. Ancora più significativo è il caso offertoci da un altro notaio : da Giovanni da Ancona che, per quanto fosse a Spalato già da una ventina d’anni, prende per slave parole dalmatiche. Registrando un inventario dei 31 luglio 1359, che molto probabilmente gli fu presentato in volgare, egli, tra altro, annota: «Una conca que dicitur sclauonice mesiur»1). Eppure mesiur è parola dalmatica, conservatasi fin quasi ai nostri giorni nel veglioto2). Si rinnova cosi a Spalato l’impressione che il dalmatico faceva ad italiani della penisola che venivano a Ragusa e a Zara. A Ragusa nel 1387 un umanista italiano, appena venuto, ') Archivio di Spalato, vol. IV, cc. 44/56 v, 2) Vedasi BARTOLI, Das Dalmatische cit., vol. II, pag. 206, che registra mezul, mizuól, mizul. Il mesiur spalatino è una variante preziosa.