— 11 — professione di origine e di nazionalità, messa in fronte a quello che era il libro sacro del comune, risolve — per usare una frase cara ai nostri Statuti — « modo preciso et trunco » la prima questione : a Spalato nel trecento v’era una nobiltà che si sentiva ed era tutta latina ‘). Vediamo ora l’altra popolazione. Oltre ai nobili, lo Statuto2) e i documenti del tempo3) ricordano : i cives, i populares, gli habitatores ed i distrìctuales. Di questi, le prime tre categorie abitavano in città, la quarta nell’agro4) e nelle isole del comune5). Cives erano quelli che, o per essere oriundi spalatini o per concessione del Consiglio Generale, godevano i beneficia e gli honores della città e ne sostenevano gli onera e gli obsequia. Anche i populares avevano gli stessi diritti e doveri; ma, mentre del titolo di civis sono di regola fregiate persone di dignità ragguardevole che non amano confondersi con il basso popolo e che tendono a formare una classe di mezzo, populares è la denominazione specifica della plebe. Habitatores sono quelli che, venuti da poco ad abitare nella città, non ne hanno ancora ottenuta la cittadinanza. Di-strictuales, i villani e gli agricoltori del territorio. In ordine di dignità venivano dunque anzitutto i nobiles, coloro cioè che, oltre a rappresentare la parte più eletta della popolazione, erano i depositari del passato del comune, i continuatori delle sue tradizioni, i difensori del suo carattere e i costruttori della sua storia. Il Consiglio Generale e il Consiglio di Credenza, nei quali risiedeva il potere legislativo, erano esclusivamente formati da nobili, così come esclusivamente in persone di nobili si faceva l’elezione della curia, di quei magistrati cioè che, insieme al Podestà®), costituivano il potere esecutivo del comune. Venivano poi i cives, gente che per lo più aveva *) Useremo sempre questa espressione anche se non troppo precisa, specie per chi giudichi con i criteri di oggi. Ma essa ha il vantaggio: 1) di essere quella stessa che i neolatini della Dalmazia medioevale si attribuivano; 2) di riprodurre esattamente la denominazione usata nei loro riguardi dai finitimi slavi; 3) di non ingenerare confusione tra neolatini di Dalmazia e neolatini d’oltre Adriatico (Veneziani, Marchigiani, Pugliesi, Toscani ecc.); 4) di allontanare il sospetto che noi si voglia applicare ai secoli di mezzo principi e criteri che sono dei giorni nostri. 2) Statuta cit., pag. 293. 3) Vedasi il doc. pubblicato da Q. Alacevich sotto il titolo La Vrasda in Ballettino di archeologia e storia dalmata, Spalato, a. 1896, n. 9. 4) L’agro si estendeva «a columpna que est in confinibus Spalati citra vel versus montem s. Luce et s. Michaelis et a Clissa citra et ab ecclesia s. Marie de Ugal et ab ecclesia s. Petri de Gumaio citra versus Spalatum ». (Archivio di Spalato. Frammento di protocollo del not. Giovanni da Ancona, anno 1342, alla data 17 aprile). 5) Solta e una parte di Bua. °) Per disposizione statutaria (Statuto cit., pag. 30) il podestà non poteva essere «de partibus Sclauonie nec de prouincia Dalmatie». Lo si sceglieva quasi sempre nelle Marche.