171 a ragunar gente. Il Visconti però sembrava voler evitare la guerra, e mandò in ambasciata a Venezia lo stesso Francesco Petrarca, allora alla sua corte, ma invano ; ed il grande poeta in una eloquentissima lettera, tutta spirante l’amore d’Italia, eh’ egli poi dirigeva al doge Dandolo, lamentava le sciagure della comune patria lacerata dai. propri figli, e che viver non sapeva in pace. Rappresentava come le ambizioni dei principi, le gelosie, le invidie de’ popoli davano causa agli stranieri d’immischiarsi nelle cose nostre ; come quelli poi non pensavano che a fare loro prò delle nostre discordie per ispogliare il paèse e farlo servo. E qual vantaggio vi ripromettete voi, esclamava, dalla stessa viatoria? Erario depresso, perdita d’uomini, mali peggiori di prima. Bella, diceva, e benedetta esser la pace, per essa fiorire i commerci, le industrie; per essa progredire la civiltà de’ popoli, e questo preziosissimo dono poter il doge fare alla sua Repubblica, anzi all’ Italia, quando, deposte le ire, ai Liguri fratellevolmente porgesse la mano ; di ciò adunque supplicavaio, di ciò lo scongiurava per 1’ amore sempre da lui portato alla virtù, per la carità della patria, per la stessa sua gloria, per la quale renderebbe,si degno d’ essere comparato a Trajano (1). Rispondevagli il doge : aver sempre amato la pace, nè esserne egli stato lo sturbatore, non altro anzi egli chiedere a’ suoi nemici, se non la quiete d’Italia, ed anche dopo la vittoria altro non bramare, ben sapendo di quanta gloria sia ad un principe l’usare mansuetudine dopo il trionfo. Maravigliarsi perciò che il Petrarca gli attribuisse altri pensieri, dopo le risposte miti e benevole date a lui e agli ambasciatori con esso venuti e dopo i legati spediti con purità d’animo al sommo Pontefice per riuscire all’accomo- (1) Petrarca, Epistola nelle Variarían 5 giugno 1354.