276 sulla piazza, ove udito il miserando caso, non erano che gemiti, pianti, grida di disperazione. Quali piangevano perduta la patria e con essa la libertà, ogni prosperità pubblica e privata, tutta la veneziana esistenza : quali più coraggiosi gridavano non essere la patria perduta finché restasse chi potesse ancora impugnare un’ arma ; altri non pensando che a sè, correvano a nasconder i loro danari e le gioie (1). Non mancavano intanto a sè stessi il doge ed il senato. Prima di ricorrere agli estremi, era saggio consìglio tentare le vie della pace, avviando pratiche col Carrarese, mentre contemporaneamente si maneggiavano col re d’Ungheria. Il dì seguente alla presa di Chioggia, il doge scrisse al Carrara, chiedendogli salvocondotto pei tre ambasciatori Pietro Giustinian, Nicolò Morosini, Jacopo Priuli e n’ebbe superba risposta e rifiuto (2). Vano era sperare maggior pieghevolezza nei Genovesi, il cui capitano si dice rispondesse, esser suo fermo proponimento d’imporre la briglia ai cavalli di s. Marco (3). Venezia non avea più dunque a sperare se non nelle proprie forze. Fu ordinato si facessero immediatamente palificate dal lido di s. Nicolò a santo Spirito, circondandone così la città ; navilii armati custodissero i canali. Badasse, scriveva il doge a Giovanni Barbarigo, a ben custodire colle sue barche il porto di s. Nicolò verso il quale i Genovesi si dirigevano, movendo da Malamocco (4). Con altra lettera il Barbarigo fu richiamato verso s. Giorgio (1) Paolo Morosini, p. 326. (2) Cod. CLX1X, cl. VII, it. Ambasciatori a’ Principi. (3) Cod. DCCXCIV — Quae ad ea responderit Petrus (Doria), quas pacis conditiones tulerit, a nris annalib. non traditur, puduisse illos credo, tam barbar am immanitatem in homine genuensi litterar. monumentis mandare, illudtantum dicunt (quod ínter venetos et omnes etiam script ores, quoscumque ego viderim, constat) ita atroces condiciones ab ilio editas quae in nullius hominis integra mente utentis sensum caderent. Folieta Hist. genuens. (4) Cod. DCCXCIV, cl. VIÍ it.