338 L’esercito ungherese comandato dallo stesso re Sigismondo marciava per la Servia, quello degli ausiliarii francesi per la Transilvania e la Valacchia. Era il 28 settembre 1396 quando si trovarono di faccia ai Turchi a Ni-copoli. I Cristiani in numero di sessanta mila (1) superbi della loro forza, e, i Francesi specialmento già tenendosi certi della vittoria, osarono perfino millantarsi che se il cielo cadesse, sosterrebonlo colle loro lancio. L’ avanguardia turca composta di scorridori fu presto respinta ; i cavalieri francesi, non si curando degli avvertimenti di Sigismondo, che ben conosceva il modo di combattere dei Turchi, si diedero furiosamente ad inseguirli, superarono un’ altura ed ecco spiegarsi loro dinanzi, inattesa, formidabile, la forza turca composta di quarantamila uomini, stretti nelle loro file, presentando quasi un bosco di lancie. Il combattimento non fu lungo, essendo all’ orgoglio e ai vanta-menti succeduto nell’esercito francese il terror panico, onde presto fecesi generale la fuga, immensa la strage. Dietro all’ esercito francese era schierato 1’ ungherese, alla destra gli Ungheresi comandati da Stefano Lazkovich, a sinistra i Valacchi col loro principe Mirces; nel centro Ermanno di Cilly cogli Stiriani ed i Bavaresi, il Palatino Gara ed il re Sigismondo. Ma invece di opporre resistenza, il tradimento, il disaccordo li fecero voltar tutti in fuga; solo il centro stette fermo ad accogliere i Francesi e ad aifrontare i Turchi, ma fu vano tentativo pel soccorso recato a questi dal despoto di Servia loro alleato, onde altro non rimase ai Cristiani che fuggire e salvarsi sulla flotta di Venezia e di Rodi che li trasportò in Dalmazia. Orrenda carnifìcina fecero i Turchi dei prigionieri, i restanti furono distribuiti come schiavi, solo ventiquattro ca- (1) Hammer, Storia dell’ impero Osmano Vol. III. 43